Capitolo 2015

XVI CAPITOLO SOLENNE

Domenica 25.102015

Farine e lievitazioni

Alle 9 in punto colazione al molino Bongiovanni, forti di quasi quattro kg di salame, altrettanti di Raschera, quattro tume, pani vari (segale, cereali. carbone e grissini robatá) un kg di biscottini di farina di castagne, una scatola di bottiglie di Dogliani DOCG della cascina Monsignore, due litri abbondanti di caffè, ecc. Alle 10,30, dopo la visita all’ impianto ed un copioso approvvigionamento di farine macinate a pietra, semi e prodotti vari, al momento di trasferirci all’albergo “I Gelsi”‘ è stata questione di un attimo smontare i tavoli quasi del tutto “ripuliti” dai centodieci convenuti.

 

Nella sala convegni, dopo una breve storia del sito ( gestito da un ente nato dalla trasformazione della colonia agricola per gli orfani di guerra ) ed un breve pistolotto/sfogo del rettore Viale* si è proceduto alle intronizzazioni di due nuovi accademici e , dopo i saluti di Cosimo Pantaleo per la F.I.C.E. e di Sergio Barattero per la struttura ospitante, l’uditorio é stato letteralmente rapito dalle disquisizioni – e risposte alle numerose domande – del giovane mugnaio Aldo Bongiovanni su lieviti, farine, pani e pizze. Prima di pranzare si è proceduto alla chiamata delle ventuno confraternite intervenute, cominciando da quelle più lontane e quindi più gradite (due della Provenza, una portoghese e quindi quella carnica dei Cjarsons di Forni Avoltri) e via via tutte le altre, per lo scambio dei doni.

Alle 12,30, come da programma, eravamo pronti per intraprendere i lavori conviviali sedendoci a tavoli imbanditi con gusto nel bel salone del ristorante… e le aspettative di assaporare un tipico pranzo della festa con piatti tradizionali non sono state tradite, anzi. Ma, dato che tutte le cose belle – o buone – non possono durare all’infinito, alle 15,30 sono stati serviti i dolci finali ed il caffè, in modo da permettere a tutti un agevole rientro alle proprie abitazioni dopo una giornata che speriamo, ma siamo fiduciosi, sia stata gradita a tutti.

  • 1)Noi si continua con la linea “pranzo tradizionale della festa” (in cui, ad es. sicuramente non si usava il ” servizio all’italiana” ma ogni commensale veniva servito secondo suo gusto o necessità attingendo dal piatto di portata, evitando così inutili sprechi). 2) Da anni ormai, un malinteso culto della creatività sta sostenendo un’alimentazione a dir poco stravagante, generatrice di uno stile uniforme, del tutto distaccato da quel prezioso patrimonio di esperienze, sapienza e buon senso accumulato nel tempo dalle comunità locali.

Secondo noi è compito di ambienti più avveduti (quali i circoli enogastronomici) in cui non si teme di apparir provinciali, di far tornare e/o consolidare la consapevolezza che in definitiva sono ancora le realizzazioni maggiormente legate al territorio quelle che appartengono a pieno titolo all’alta cucina, ove – per dirla con lo storico Jean Francois Revel – l’associazione sapiente ed equilibrata di prodotti spesso comunissimi è capace di sviluppare sapori egregi, decisi, altrimenti ed altrove irripetibili.

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